L’anno scorso un mio amico, persona seria e competente, mi confida “alle prossime Comunali, mi candido come consigliere della Municipalità3.” Dopo averlo scrutato per diversi secondi non riesco più a vedere una persona ma immagino una cosa, un oggetto, insomma una mazza che parla. Senza entrare nel merito mi viene in mente un libro che ho appena finito: “Il Riso” di Henri Bergson.
Attualmente (ma forse da sempre?), il politico attua l’arte del contraffare. Il suo modo di parlare è costruito, raffinato, edulcorato, privo di sostegno psicologico, insomma tutto proiettato verso la materia e non verso la mente. Si esprime in modo quanto più naturale possibile; studia analogie che gli servono come paragoni, per rafforzare e imitare. Bergson dice: E’ comico ogni incidente che attira la nostra attenzione sul fisico di una persona quanto dovremmo badare solo al morale di esso.
Infatti questo mio amico, da quando è diventato consigliere, ha smesso di criticare. Prima, a ragione, si lamentava di ogni situazione paradossale che succede nel nostro quartiere, oggi all’opposto, elenca solo le virtù di una maggioranza che sta lavorando molto bene nel rione. Naturalmente tutto ciò è prevedibile se appartieni ad una determinata categoria. Ma non posso fare a meno di intercettare quei meccanismi, di cui parla il filosofo francese che, l’umano insensibile ed intelligente, attraverso uno stato incosciente (quello che lui definisce automatismo), proietta la sua figura in una condizione comica. Il comico è dunque accidentale; resta, per così dire, nella superficie della persona.
In effetti i discorsi “istituzionali” sono tutti uguali, tutti hanno un comune denominatore, tutti hanno una missione salvifica da proporre. E di questo i politici ne sono consapevoli; si battono per l’italianità, per demolire le case dei rom, per la disuguaglianza ecc. Dice sempre Bergson: Basterà, per convincersene, osservare che, in generale, un personaggio comico, è tal nell’esatta misura in cui egli ignora di essere comico.
Il mio amico ha “irrigidito” le sue critiche, usando un linguaggio appropriato e fittizio, edulcora ogni situazione e così facendo rende comico ogni suo tentativo serio. In una delle tante definizioni che ci sono nel libro, definizione di comico e di riso, questa è una delle più indicate per circoscrivere la comicità del politicante: Ogni rigidità del carattere, dello spirito ed anche del corpo, sarà dunque sospetta alla società, perché essa è il segno possibile di una attività che si isola, che tende a scostarsi dal centro comune, intorno a cui la società gravità, di una eccentricità insomma.
Insomma, attraverso i discorsi politici di quest’epoca, si trovano il germi della “felicità”; germi che gravitano intorno ad esseri umani che nella esasperata convinzione di aver ragione, di essere nella parte del giusto, innescano i meccanismi del riso così come quelli dell’imbecillità*. [+blogger]
Viene proprio da pensare che i politici italiani fanno ridere. Ma questa sottile analisi é sfuggita, mi sfugge qualcosa? Perché alla vigilia dei ballottaggi?
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Troppo difficile, ma nella prefazione c’è scritta una cosa del genere. Differente, si, ma che si può paragonare.
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