nell’istituto ozanam

Racconto un po’ di storia degli anni Ottanta. Avevo 15 anni e spesso giocavo a pallone, a pallavolo e a Basket nell’Istituto Federico Ozanam. La madre superiora, bella donna, alta, del nord e sempre vestita di bianco, un giorno mi fece visitare la cucina: professionale, enorme, un odore straordinario, tutta d’acciaio, pulitissima; le dissi, “mamma mia, mi sembra la cucina di un ristorante”. Poi mi portò nei corridoi dell’Istituto: due tavole grandissime ed una quantità di sedie impossibili da contare. Alla fine, prima di salutarmi, mi disse: “bhe, aiutami ad apparecchiare”.

Dopo qualche minuto arrivò una quantità di gente, alcuni scalmanati, altri silenziosi, la maggioranza, invece, era persuasa dall’odore di pasta e patate con la provola. In verità anche io non resistevo, morivo dalla voglia di assaporare quella delizia profumata. Tutti presero posto, la suora mi appioppò salviette e posate. Mentre le appoggiavo sul tavolo, delineando le distanze, un pentolone portato da una donna con il cappello bianco, uscì dalla cucina su di un tavolino con le rotelle. L’odore si fece più intenso, sentivo perfino l’aroma del sedano tritato. Che bontà. Il fumo delineava la quantità di pasta che la donna immergeva, con il suo mestolone gigante, prima nel pentolone, poi nei piatti: uno, due, dieci, 50, 100 piatti ripieni. Che peccato era quasi finito tutto e la mia disperazione cominciava ad affliggermi nervosamente.

Ad un certo punto, vidi l’enorme madre superiora gesticolare da lontano. Mi chiamava. Dietro di lei c’era un piccolo ripiano curvato con mensole bianche. Su di una di queste c’era, quasi custodito, un piatto fumante, enorme anch’esso, pieno di pasta, patate e provola. Mi disse di nuovo: se dopo mi aiuti a sparecchiare, questo piatto lo dono a te. La sua voce era di una dolcezza straordinaria, l’amavo alla follia, così come amavo quell’odore inebriante della cucina dell’Ozanam. “Sgozzai” quel piatto di pasta quasi ustionandomi la lingua e il palato. Dopo le salsicce, il purea, l’insalata, la frutta, anche qualche sigaretta per chi la richiedeva. Alla fine tutti andarono via, rimasi a sparecchiare con altri volontari. Sembrava che avessero mangiato una caterva di squinternati, avevano lasciato di tutto sui tavoli… Era la prima volta che vedevo una cosa simile, la povertà, in questi termini, non l’avevo mai percepita così da vicino.

Quando stavo per andare via, la madre superiora mi salutò affettuosamente, sussurrandomi alle orecchie “se vieni domani c’è anche una torta ricotta e pera”. PS. L’altro ieri ho visto il tg regionale: nuovo progetto rione Sanità, restauro e trasformazione del centro Ozanam. [+blogger].

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