la sedia a rotelle

Mimì* abita in un basso alla salita Capodimonte, salita piuttosto ripida e difficoltosa da fare anche per i più atletici. Per entrare nella sua abitazione deve saltare due scalini di circa 30 centimetri ognuno. La casa è composta di una sola stanza con bagno. Sopra un piccolo ripostiglio. Mimì ha una sola gamba e mi ha contattato per sapere come ha fatto, mia mamma, ad avere una sedia a rotelle con il motore/batteria.

Glielo spiego: medico curante, visita ortopedica o geriatrica domiciliare; prescrizione di quest’ultimo, con attestato e condizione di invalidità accertate (non c’è bisogno del decreto d’invalidità accompagnamento). Ancora: preventivo rilasciato da una ditta che vende presidi medici (sedia a rotelle); ASL, che accerta la documentazione, compreso il preventivo. Autorizzazione, ed in fine invio del presidio medico da parte del venditore. Se sei scaltro prima di 3 mesi non te la cavi. Ma la questione, per Mimì, è troppo complessa per poterla sbrigare da solo.

Mimì parla solo il napoletano stretto, un tipo di dialetto che non si usa tanto da noi. Mi fa chiamare dal figlio Carmelo, quando rispondo a telefono Carmelo, senza darmi tempo di dire il mio nome, inizia a parlare velocemente. E’ un fiume in piena, un insieme di parole che a stento riesco a comprendere: pap sta malu, n’den na cosc, n’dnim na lir, e drttur so tuttu strunz, n’cfann a cart, ‘o certificati, commu se dic?, i vac llà e scuscert tuttu cos, pa maronn addu vnì ‘o 113. Gli spiego che è meglio vederci di persona. Dopo qualche giorno mi faccio firmare una delega e vado personalmente all’Asl di competenza, mi accompagna Mauro ‘o romano. Il responsabile mi apostrofa subito: “Questa carta non serve a nulla” parla della mia delega. Mi riconosce un responsabile, io ci sono stato diverse volte per sbrigare le pratiche di mia mamma. Gentilmente mi fa sedere e insieme cerchiamo di spiegarci: io sono un volontario, io sono un medico!

Dopo circa tre mesi vedo Mimì alla via santa Maria Antesaecula, con la sua bella fiammeggiante sedia a motore/batteria. Sorridente, come se stesse portando un auto di lusso ha, sull’altra gamba, un nipote di circa 8 anni; un’altro invece è attaccato dietro poggiando i piedi sui parafanghi. Mi sussurra: ‘e piccirill nun vonn fa a sagliuta! Dopo pochi mesi ho saputo, dal salumiere, che la sedia è “scoppiata” e che Mimì, nel tentativo di aggiustarla, ha ben pensato di portarla dal meccanico (un suo altro nipote di 20 anni). Le batteria hanno preso quasi fuoco, una ruota è inutilizzabile, i poggi piedi consumati. Alla fine i figlio di Mimì mi richiama di nuovo: commu pozzo purtara a’ccuncirla? [+blogger]

*Questa è una storia di circa 20 anni fa

4 commenti Aggiungi il tuo

  1. Claudia ha detto:

    Una storia antica di altri tempi, i ricordi insegnano, anche le illusioni presto svaniscono. Mimí é più scaltro chiamando il volontario, e la sedia fa la fine che merita.

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  2. Anonimo ha detto:

    Alla fine la sedia fu aggiustata? Potresti farci un cortometraggio 🙂

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  3. cosimosaporito ha detto:

    storia molto bella, mi ha fatto venire in mente Eduardo, con quelle cose di vita reale che agli occhi degli estranei alla tipica situazione della nostra bella e martoriata città, può sembrare inverosimile, invece è vera, verissima. storia di miseria, di ignoranza, anche se non voluta solo perché non si è potuto andare a scuola, di vita e lotta quotidiana.

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    1. Antonio Caiafa ha detto:

      Citare Eduardo è sempre delizioso, “il vicolo” è sinonimo di dignità e di vita. Le storie s’uniscono, si fondono, così come l’esistenza che ha voglia di farsi sentire, di “esistere” appunto…. tutti dobbiamo beneficiare la vita, non solo i ricchi o chi ha avuto più fortuna.

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