Qualche giorno fa una mia amica mi ha taggato in un post “tacciandomi” di fare domande inappropriate: le avevo chiesto se voleva sposarsi. L’articolo che ha pubblicato in risposta, riassumendo brevemente, spiega perchè una vita da single sia da preferire a un matrimonio, che generalmente si configura come una imposizione della società. Le avevo promesso che avrei riposto, ma non mi sento di contestare l’autore. Ripenso alla domanda che le faccio ogni volta che la incontro e mi chiedo il perché.
Non ho mai conosciuto mio nonno materno. Mia mamma mi ha parlato pochissimo di lui, perché cresciuta con un’estranea. La stessa cosa ha fatto mia nonna. Quello poche cose che mi sono state dette hanno però inciso sulla parziale risposta a quest’articolo. Nell’era fascista il padre di mia madre comprò una squadra di calcio locale. Mio padre (quando era appena fidanzato con mia madre), si permise di accendere una sigaretta a tavola dopo pranzo e fu scacciato come un cane. Mio nonno era gelosissimo di mia madre, la seguiva nel suo tempo libero.Mio nonno aveva vent’anni in più di mia nonna e già sposato con un’altra donna.
Mio padre, invece, giovane operaio del rione Sanità, viveva la sua giovinezza tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo passato. Viveva la contestazione, il femminismo, gli anni di piombo. A mio padre però non interessava un tubo di tutto ciò, pensava a lavorare e a conservare qualcosa. Mio padre apparteneva ad una famiglia poverissima, voleva far l’amore prima del matrimonio, ma mia madre glielo impediva. Si sposarono per “repressione” ma si amavano ed ebbero 4 figli e tre aborti.
In mezzo ci sono io, primo dell’intera famiglia ad aver fatto le scuole alte, struito nel ritardo, ma struito. Alla scuola media inferiore della via Foria, mentre lavoravo come operaio, chiesi la sufficienza per clemenza. Qualche anno dopo alla De Sanctis, sempre serale, avevo incontrato molti professori di destra. Ricordo quello d’italiano che quando spiegava la seconda guerra mondiale, e Mussolini, gli brillavano gli occhi. Poi la chiesa, che nel rione ha inciso moltissimo, visto che, in qualche modo mitologico, considerava la gente. In questa confusione generale, se avevi una famiglia povera come la mia, ti perdevi in un marasma di definizioni storiche senza nemmeno conoscerle. Io stesso passavo dall’essere un cattolico (e forse moralista nella mia primissima gioventù), per poi diventare anarchico femminista e come dice Totò, anche un po’ farmacista.
Cosa c’è di vero in tutto questo? Un’epoca di mezzo, un secolo breve che ha generato esseri come me, capaci di cambiare opinione non per comodità ma per criticità. A generare ulteriore confusione è stata, inoltre, la costante precarizzazione piazzatasi in mezzo all’era digitale, dietro e non per ultimo, l’infantilismo della politica italiana (si può contestare il termine infantilismo, ma lo uso per non iastemmare). Si può anche contestare quel “cambiare opinione”, giusto!?, ma la storia non può essere sacrificata, e tu queste cose, cara Cornelia, già le conosci. Mio figlio di 4 anni si diverte molto ad aprire l’ombrello in casa, io gli dico di non farlo perché porta sfortuna, ma lui dice che non è vero. In fondo, cos’è una rivoluzione? Goliarda Sapienza dice che significa: legittima difesa contro chi aggredisce con l’arma della fame e dell’ignoranza. E io le credo. Non mi sono rimaste che smancerie sentimentali, fisiche, azzeccate addosso. Non sono un nostalgico ma mi sono posto di schifo, sempre per usare un temine che usava Totò.
Tutte queste nefandezze nascondono però uomini e donne straordinari dietro le quinte, oggi occultati vilmente nella consapevolezza che le cose non possono cambiare. Forse al temine di quest’articolo, cara la mia Lea, perdon Cornelia, la riposta alla mia domanda non avrà molto senso. Nella mia confusione mi sono sposato e, credendo di fare un atto rivoluzionario, ho chiesto un rito misto, uguale ma misto. Ho due bambini che non voglio mai lasciare. Dopo il matrimonio sono anche diventato più ricco, grazie a mio suocero che ci ha regalato una casa… evviva i suoceri. Per il resto è tempo sprecato, per ora, o forse no? Comunque ricordati cara Cornelia, tu mi dicesti un giorno, anche se nell’inconsapevolezza, bellissima e giovanissima: vuò fa ‘o cumpar’e fazzulett’?! [+blogger]
Caro Antonio,
innanzitutto grazie mille per questo post che mi hai dedicato, in risposta al mio articolo postato, non me lo meritavo davvero, perché quel post era davvero fuori luogo e ti vorrei spigare il perché.
Come tu ben sai, anche io sono nata e cresciuta in una famiglia della classe operaia : mio nonno materno, che tu hai conosciuto, per sfuggire alla povertà si arruolò prestissimo nella marina militare e ci rimase fino al dopoguerra. Viaggiò molto . Era un gran bell’uomo e dai suoi racconti celati, intuivo che incontrò molte donne che avrebbero voluto sposarlo. Lui però era deciso nella sua scelta e diceva a tutte: ” io sposerò una napoletana, moglie e buoi dei paesi tuoi” . E così fece . Quando durante uno dei suoi congedi rivide la sua cugina Sisina che intanto era diventata una bella ragazza di 15 anni, se ne innamorò e le le propose di sposarlo. Cosa naturalmente che mia nonna accettò con gioia dal momento che mio nonno era un uomo bello e cortese e in più poteva assicurarle un futuro decente. Vissero con difficoltà i periodi della guerra e fra alti e bassi rimasero insieme tutta la vita fino alla morte di mia nonna a 82 anni. Il ricordo che io ho di mia nonna é quello di una donna molto dolce e dedita alla sua famiglia e a suo marito, in particolare a mio nonno non faceva mancare nulla : lavava, stirava, preparava da mangiare e alla fine di ogni pasto prendeva una mela e la sbucciava per servirla a suo marito. Ebbero due figlie. Anche mio nonno era gelosissimo delle figlie, che dovevano rientrare a casa alle 9 di sera e non un minuto in piu’ e a loro non era permesso neanche di andare a ballare nelle feste di famiglia con i cugini e le cugine.
Mio padre era anche lui d’estrazione popolare nonostante, mio nonno paterno fosse un uomo istruito e direttore di una catena di negozi. Era uno dei più piccoli di una famiglia di 4 figlie e 3 figli, e visse la sua gioventù negli anni 50 e 60. Si fidanzò con mia madre a 18 anni e si sposarono 7 anni dopo nel giugno del ’68. Mio padre, un operaio specializzato, fu sindacalista, sempre in prima linea nelle manifestazioni. Quando decise di sposarsi i suoi colleghi gli dicevano ” Marcé , ma te vuo’ spusà cu sti chiare e lune?”. Ma lui non ne poteva più delle restrizioni di mio nonno e sicuramente non ne poteva più della castità che le donne si imponevano per “preservare l’onore”. Quando mio nonno accompagnò mia mamma all’altare, nell’atto di cedere sua figlia disse à mio padre: ” adesso puoi portarla a casa all’ora che vuoi tu ” . Mai simbolica del passaggio di proprietà poteva essere più esplicita. Bisogna dire che sia mio nonno e mia nonna, che mio padre e mia madre vinsero quello che io definisco ‘ il terno al lotto” e cioè trovarono l’ amore al primo colpo. I miei genitori si sono amati, rispettati ed hanno allevato i figli in una famiglia felice. Certo che 50 anni fa il matrimonio era un vero terno al lotto, ci si poteva basare su una certa intuizione, se si riusciva ad essere pazienti abbastanza per conoscere meglio il futuro partner si aveva meno margine d’errore, mentre se si aveva fretta di scappare da una famiglia tossica, il matrimonio si faceva in fretta, appena l’occasione si presentava. Questo era vero soprattutto per le donne, che spesso non avevano un’indipendenza economica e subivano il giro di vite di una famiglia patriarcale. In ogni caso, se il matrimonio poteva essere o croce o delizia, e é anche vero che, per le donne, esso sanciva il passaggio dalla detenzione alla libertà vigilata. E con l’arrivo dei figli sanciva infine il passaggio ad una posizione che possiamo descrivere di potere (nei confronti della prole). Ma in ogni caso non mancava d’essere mai lo strumento della loro propria oppressione.
Ma ai tempi del matrimonio dei miei, i tempi cambiavano e le donne cominciavano a manifestare, erano sempre più’ istruite, sempre più rivendicative, cominciavano a denunciare le ingiustizie, gli stupri, rivendicavano il diritto al divorzio e all’aborto. I miei genitori votarono a favore di entrambi, la storia e i suoi tumulti aveva strappato entrambi alle loro radici conservatrici , si adattarono e furono figli del loro tempo. Ciononostante, ancora negli anni 80 i divorzi erano rari, perché le donne spesso non avevano un lavoro , … mettici un po’ la religione, il fatto che il tradimento dell’uomo non era considerato riprovevole come quello delle donne ( ricordiamoci il delitto d’onore) e che spesso in due si riusciva a sopravvivere meglio che da soli ( economicamente parlando), insomma , si restava insieme comunque, ed il divorzio era quasi sempre inaccessibile alle classi popolari.
Veniamo a noi adesso, e dico bene a noi, con ciò intendo quelli con il nostro habitus sociale. Noi che siamo stati sintesi della tesi e dell’antitesi, nati negli anni 70 e cresciuti degli anni 90. Istruiti ma con un background proletario, pionieri per certi versi e al passo dei tempi per altri, rivoluzionari per altri versi ancora. Alla nostra epoca, la seconda metà ” del secolo breve” , in cui tutto cambia rapidamente, anche il matrimonio é cambiato. Sempre più una scelta, sempre meno un imposizione. I divorzi sono più semplici giuridicamente parlando e meno sanzionati socialmente.
Adesso voglio venire al punto: non sono mai le istituzioni ad essere in sé rivoluzionarie, solo il pensiero e le lotte possono esserlo. Le istituzioni si adattano alla società alle rivendicazioni sociali, ai cambiamenti. Così é stato con lo sfruttamento del lavoro salariato, se mi permetti il parallelo. La proprietà privata dei mezzi di produzione ha creato uno sfruttamento senza uguali , sotto forma di una presunta libertà , quella del contratto fra le parti . Come sono migliorate le condizioni dei lavoratori? Quando la giustizia é diventata più clemente? Questo é successo quando le lotte si sono affermate e gli scioperi hanno creato il caos nella produzione. Non venivano di certo dal contratto in sé che era intrinsecamente ingiusto in quanto il gioco di potere ne viziava la natura ( una delle parti ha indubbiamente meno potere dell’altra).
Torniamo al matrimonio. Se nei secoli il matrimonio é stato uno strumento di oppressione- il quale un uomo cede una donna ad un altro uomo – la donna non aveva molta scelta, doveva sposarsi se non voleva essere tacciata come puttana o zitella- é vero anche che esso rappresentava una sorta di scudo contro il proprio annientamento. Decretava piu’ o meno anche i diritti delle donne, quello al mantenimento per esempio, o al sostentamento in caso di decesso del congiunto, con la pensione di reversibilità. Dava alle donne e agli uomini il diritto all’eredità, e quindi , voce in capitolo in materia di economia familiare. Così come il contratto di lavoro dava , seppur spesso misero, il diritto ad una remunerazione. Era prendere o lasciare, prendere quel poco o nulla di nulla. Quel poco che ti garantiva un altro potere , quello più forte del singolo uomo e della singola donna e cioè il potere dello Stato.
Adesso parliamo dell”articolo che ho postato e che parlava dei single . Come mi hanno fatto ben notare, io sono stata raramente single. In realtà io sono stata sposata piu’ volte e divorziata altrettanto. Ad ogni mio matrimonio non c’erano né sindaco né testimoni, e neppure gli invitati: eravamo solo in due. Tacitamente ci siamo giurati la fedeltà, mutuo soccorso e supporto morale, ci siamo promessi l’amore e il rispetto . E quando una di queste promesse non é stata mantenuta allora abbiamo divorziato: non davanti ad un giudice ma solo ed esclusivamente davanti a noi stessi. Ci bastava. Il contratto fra le parti non era viziato da nessuna disuguaglianza di fondo e non abbiamo avuto nessun bisogno di un Interpartes che garantisse qualcosa o proteggesse una delle parti.
Si, é vero, il matrimonio rende più ricchi e più forti. Quando il mio compagno ha avuto un incidente e si é slogata la spalla, io gli lavavo la schiena e l’aiutavo a cambiarsi la benda. Quando l’uno o l’altro/a era triste, cercavamo in ogni modo di aiutarci . Dividiamo le spese in comune , al pro-rata dei nostri stipendi: chi guadagna di più, paga di più. La macchina l’ho comprata io, ma la revisione la fa lui. Quando graffiai la fiancata della macchina il mio compagno si incazzo’ : ” fai un po’ attenzione, no?”, mi disse. Io mi scusai senza nemmeno realizzare che alla fine la macchina e mia e non doveva incazzarsi lui. Ma quando si é sposati la proprietà diventa un concetto relativo, no? Io sono quella che guadagna di più , ma spende di più e lui mi dice sempre ” pensa a mettere dei soldi da parte, non si sa mai!” . Infatti lui mi presta spesso dei soldi, io insisto per renderglieli. Perché se abbiamo un conto in comune, ognuno ha anche il suo proprio conto corrente e lo gestisce come vuole.
In poche parole , quando tu mi hai chiesto quand’era che mi sposavo, io avrei dovuto semplicemente sgranare gli occhi e rispondere ” E perché mai dovrei sposarmi ? Io sono già sposata!” Così facendo avrei reso molto meglio l’idea di cosa é per me il matrimonio. Forse la mia scelta di non sposarmi di fronte ad un rappresentante dello stato qualcuno potrebbe definirla come postmoderna? Qualche sociologo, mi taccerebbe forse da persona ” liquida” , qualche filosofo alla moda probabilmente come vittima del turbocapitalismo. A me invece viene da ridere quando mi parlano di matrimonio pensando alla risposta che diede il giornalista americano H.L. Mecncken, quando celibe , all’inizio del secolo scorso gli fu chiesto a proposito del matrimonio, e lui rispose : “Marriage is a wonderful institution, but …who would want to live in an institution?”
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