
La foto che ho postata è stata scattata qualche giorno fa alla via Arena alla Sanità. Potrebbe sembrare una normale fila post-covid, invece da anni la gente si ammassa per fare la fila nell’unico ufficio postale del rione. L’altro giorno pioveva e le persone erano costrette a stare sotto la pioggia. Sempre così, da decenni, normale, uguale, affollati, soffocanti e depressi in poco più di 15 metri quadri. Ma oggi è meglio stare fuori che dentro. Che il luogo avesse in anticipo saputo della pandemia è cosa possibile; gridare allo scandalo è poco più che anacronistico, ma che il quartiere anticipasse gli eventi è straordinario. La Sanità sbilancia con le sue mosse a sorpresa. Chi oggi ha voglia di lamentarsi dei 3×5 metri della pareti e della pavimentazione? Roba vecchia. Eppure questa riflessione è asintomatica, non ha e non ha mai avuto effetti collaterali. Fosse che la cosa pubblica è allergica?, è indispensabile?, è infetta? C’è desiderio di nuovo, di rivalutazione, di modelli e di murali. Ripenso alle ultime pagine del libro, che ho quasi finito di leggere, di Goliarda Sapienza (è già la seconda volta che la cito in un articolo, è contagiosa!!!). La coraggiosa scrittrice sicula dice “…anche la parola rivoluzione mente o invecchia. Bisognerebbe trovarne un’altra”. Scriverò una recensione, mi manca l’ultimo paragrafo. [+blogger]