Avevo visto per la prima volta don Peppe quando avevo 9 anni. Mio padre mi fece conoscere i sui colleghi operai: Vincenzo il capo fabbrica, la signora Maria, Patrizia a’ chiattona, Pierino, Giovanni ecc, per ultimo mi portò da don Peppe. Di statura magra, con la pelle scura e i capelli impomatati, non era un giovanotto ma una persona già avanti con l’età. Aveva una voce possente, per contro un fisico asciutto e gracile.
Lavorava usando una macchina colore grigio/nero con le rotatorie d’acciaio. Tagliava pezzi rettangolari di cartone che, una volta sotto la rotatoria, diventavano due, tre, quattro dieci. Mi divertiva vedendolo lavorare, le sue mani erano vibranti ed “intermittenti” ed acquistavano velocità man mano che i pezzi di cartone, posizionati a pila alla sua destra, si esaurivano. Spesso doveva costruire scatole su misura e la sua faccia diventava più seria, con il metro, la penna e un foglietto, sviluppava le dimensioni che poi procedeva, come di conseguenza, a tagliare e rifinire usando una altra macchina.
Don Peppe aveva quasi la stessa anzianità di lavoro di mio padre, una vita passata a fare quel lavoro, sempre con lo stesso stipendio, sempre con la stessa posizione sociale. Mentre la ditta cresceva e diventata società e poi Holding gli operai, compreso mio padre, oltre al piccolo aumento dell’indennità di contingenza, non avevano praticamente nulla. Un bottiglia e un panettone a natale, cioccolata a pasqua (oggi si direbbe, che fortuna!).
Sì, la ditta/società/holding cresceva e si moltiplicava, all’inizio degli anni Ottanta i dirigenti proprietari avevano già il telefonino in auto, mio padre era costretto invece a prendere il pullman, mentre don Peppe aveva un ciclomotore cinquanta di cilindrata. Ricordo benissimo quando don Peppe andò in pensione, chiese a mio padre se per i suoi 37 anni di lavoro 5 milioni di vecchie lire, pari a quasi 2500 euro di liquidazione, fossero l’esatto importo scritto sulla busta paga. Mio padre naturalmente rispose di no.
Don Peppe immediatamente si recò in direzione dove, come poi mi spiegò mio padre, lo “impapocchiarono” di belle parole: gli spiegarono che se avesse avuto bisogno sapeva a chi rivolgersi; se qualche suo parente avesse bisogno di lavoro… e, per ultimo, gli promisero una bella festa a sorpresa coinvolgendo tutti i lavoratori e dirigenti della ditta. Così fecero il giorno del congedo. Don Peppe mise gli abiti della festa, vennero in fabbrica sua moglie e i suoi figli. I dirigenti tesserono le lodi, davanti a più di 150 dipendenti, dell’amico e lavoratore don Peppe. La direzione si accollò le spese del buffet abbondante e delle bomboniere da regalare a tutti i lavoratori e familiari compresi. “Fu veramente una festa meravigliosa”, come disse don Peppe. Alla fine una ciliegina sulla torta: nientepopodimenoche, il proprietario e fondatore e capo della società, che aveva assistito in silenzio con “una lacrima cascante al comando”, abbracciò il lavoratore don Peppe e tirò fuori dal suo portafoglio 10 banconote da 100 mila lire (quasi 500 euro), che regalò davanti a tutti i colleghi. Fu una emozione generale, una festa che … don Peppe non aveva mai più dimenticata. [+blogger]
Antonio questo articolo è commovente, è il preciso ritratto del trattamento degli operai delle imprese medio piccole che devono anche essere riconoscenti al loro padrone , quasi li avesse fatto la cortesia di farli vivere.Allo stesso tempo è drammatico, centinaia di anni che i lavoratori chiedono elemosina e carità a chi sulle loro spalle si arricchisce.Lo sai caro amico, mi vergogno di appartenere alla specie umana.
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