Nel 1979 nel palazzo Sanfelice di via Sanità numero 6, il regista Pasquale Festa Campanile girava il film “Gegè Bellavita”. Sceglieva il rione Sanità per rappresentare lo stereotipo dello sfruttamento sessuale, dei suoi grandi attributi economici e, sopratutto, dell’emancipazione della povera gente che, di fronte all’indigenza, scendeva innegabilmente a compromessi. Anche il cinema italiano, in quegli anni, sfruttava il fisico femminile: attrici bellissime con corpi straordinari come quelli di Ornella Muti, Edwige Fenech, Eleonora Giorgi, Gloria Guidi, Barbara Bouchet, icone incontrastate dell’epoca, costituivano un cliché adattivo per il futuro successo. Certo bisognava essere brave, cosicché in parte si riduceva la morale che censurava, ma il contrario proprio non era previsto, come invece si racconta il film.
Descrivere una donna che sfruttava, emarginando l’uomo ad avere solo il coso/oggetto, era quanto mai controverso per l’epoca. Ma non credo sia stata solo fatalità realizzarlo per intero nel palazzo dell’architetto Sanfelice. La concezione dell’uomo dominante in questo caso era invertita tanto che Gegé si offendeva quando apprendeva che la moglie se lo vendeva a buon mercato. In questi anni moltissime donne del quartiere lavoravano: guantaie, sarte, cucitrici, operaie che spesso da sole portavano avanti una famiglia intera. Infatti Gegé era uno sfaticato cronico mentre Agatina, sua moglie, si liberava dell’assoggettamento considerando la sua forza affaristica. La trasposizione della donna eduardiana forte, dominante, decisiva, pluralistica, contro un uomo inetto, persecutorio, marginale, singolare.
Tutto questo era il quartiere, tutto questo erano i poveri che, in parte, s’ispiravano a modelli borghesi, quelli spesso visti in tv. Ma una caratteristica accomunava il sesso debole del luogo, instancabili lavoratrici tanto da far “urlare” qualcuno che la Sanità era donna; sovrapposta all’intelligenza limitata dell’uomo, essa era il fulcro di una modernità rivoluzionaria, economica e intellettuale che se pur nella mancanza di istruzione, aveva ben rappresentato un cardine essenziale, lo stesso cardine che imprimeva Filumena Marturano, così ben interpretata da Titina De Filippo, Regina Bianchi, Sofia Loren ecc. Il fine di una morale trasgressiva ed economica pulsava nel cuore delle donne, pronte nella preghiera, bianche vestite e con i piedi scalzi, battendosi il petto contro una Madonna che non poteva rispondere, avevano ripercorso nel silenzio la storia recente; l’immagine di un riscatto che non era oblio, che non era fenomenologia, ma pratica e incisività. Tutto questo aveva occupato uno spazio relativo, le cronache dell’epoca amavano solo la camorra e la politica. Nasceva così la rivincita al femminile, senza egoismo, senza soprusi, con la sola forza della considerazione di genere. [+blogger]