la violenza dei santi

In un mitico quartiere dove santi e travestiti raccontano la loro esibizione attraverso la retorica e la visibile ostentazione dei media che esaltano il buonismo e le false elargizioni, una famiglia si dedica anima e corpo alla violenza e alla sopraffazione che spaventa senza fare morti. E’ una famiglia del passato, ma non troppo lontano che, a raccontarla adesso, provo ancora terrore. La violenza nel rione, ma un po’ dappertutto, è sinonimo di esibizione, di considerazione, di opinioni e di stigmatizzazioni. Questa famiglia ha (aveva) tutto ciò che c’è di negativo e tormentato nell’essere e forse anche qualcosa in più. Il padre, la madre, i fratelli, le sorelle i nipoti, nessuno si salva dalla violenza e dal suo fascino. Ma d’ora in poi uso tempi verbali al passato perché queste persone si sono quasi tutte estinte.

Erano gli inizi degli anni Ottanta e questa famiglia, composta da padre, madre, 6 fratelli ed 2 sorelle, gestivano una piccola attività commerciale nel quartiere. Tutti Avevano una caratteristica inconfondibile: già dalle primissime ore del mattino erano arrabbiati. Dai loro visi, torvi e scuri, mai un pizzico di sorriso o di comprensione. Questo era quello che io vedevo quando li incontravo. “Brutti, sporchi e cattivi” di Ettore Scola. No, peggio, molto peggio. Per fortuna abitavano lontano dalla mia casa, ma non così tanto da poterli evitare. I nomi di ogni membro della famiglia erano così bizzarri che la prima cosa che ti saltava in mente quando sentivi che qualcuno li chiamava era: “non sono napoletani”. Non li ricordo tutti, ma non dimentico i tre figli maschi, e una delle sorelle che spesso, quando mi vedeva passare, sorridendo mi salutava con mio grande imbarazzo. Si chiamavano Vezio, Fanto (il più cattivo di tutti), e Gallo; la sorella, invece si chiamava, Monte Vergine. Altra caratteristica: erano tutti tarchiati, non bassi e con il numero delle scarpe che, secondo me, partiva dal 45.

Un giorno vidi (e qui uso il passato remoto perché ricordalo troppo vicino mi spaventa), Fanto con il viso più torvo del solito, non osai alzare gli occhi ma la sorella con un sibilo mi salutò, in quell’istante un altro dei fratelli raggiunse il negozio e Fanto, con un gesto veloce, gli appizzò una sbarra uncinata intesta. Ebbi la forza di sentire il ferro incrostato che trafisse una parte della testa e il sangue zampillare, per fortuna non colpì parti vitali. La scena si svolse tutta in un silenzio meticoloso, che fu squarciata dall’urlo apocalittico prima del padre, poi della madre e di Monte Vergine. Urli animaleschi. Mai una scena mi ha fatto così paura come quest’ultima che ho ritrovato in alcune pagine del libro “Dracula” di Bram Stoker (senza urli). La mamma, Immacolata, era quella che in parte sembrava più buona, spesso quando ascoltava la musica nel suo negozio la vedevo trasognare tra l’imbarazzo e la maledizione. Diceva solo poche parole in italiano, il suo vocabolario era tutto napoletano, però spiccava la parola “impertinente” che spesso usava per etichettare i figli. Aveva relazioni con la clientela e spesso si confidava con una mia zia di secondo grado raccontandole la malattia del marito. Una tragedia per i figli perché quest’ultimo era destinato alla sedia a rotelle. Per la forza dei loro neuroni il padre era una vergona, ma andava difeso, anche se rappresentava un peso.

Un altro fratello, il più basso di tutti, andò in galera, lasciando moglie e figli piccoli. Dedito allo spaccio, beccò circa 8 anni di carcere, ma per la moglie la giovinezza non poteva aspettare i tempi della giustizia. Si fece un amante. Caso volle che il marito, per meriti eccelsi, uscì per buona condotta per poi rientrare subito e beccare altri 5 anni per violenza. Staccò l’orecchio all’amante della moglie e gli bruciò con una fiamma ossidrica parte della faccia e il naso. Fu così eclatante che nel rione si parlò di quest’evento per mesi. La moglie fu graziata per una misteriosa casualità. L’ultimo ricordo che riserbo è quello del fratello più piccolo che aveva pressappoco la mia età. Passavo per caso vicinissimo al negozio e Gallo con un sorriso a me sconosciuto mi indicò con la sola espressione della faccia il suo motorino. Con le ruote piccole, tarchiato lo scooter, come tutti della famiglia, e rosso fiammante, Gallo mi invitò a salire per un giro che non osai rifiutare; a cavalcioni, senza respirare, il mio nuovo amico e protettore, mi portò per tutto il quartiere. Quando incominciai a prendere confidenza con Gallo, mi sentivo rispettato da tutti, con lui al fianco nessuno mi faceva paura.

L’ho rincontrato pochi giorni fa, dopo circa 30 anni. Mi ha detto che è rimasto solo lui, indossava una tonaca e mi ha regalato una figurina di san Francesco. Mi ha detto: questo santo è particolare, gli ho risposto: come mai? Di rimando alla mia domanda: è il più semplice santo del mondo, il più umiliato dalla chiesa. [+blogger]

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