talenti del calcio

Fine anni Ottanta, nel rione Sanità. Gli anni dell’ adolescenza e delle partite di pallone fatte in tutti i luoghi e in tutti i posti di Napoli: giardinetti della via Foria, spiazzale del Museo Nazionale, il bosco di Capodimonte, il vico Carlotta, fuori allo stadio san Paolo. Poi c’era il campo san Gennaro, dove un tempo moltissimi container ospitavano decine di famiglie terremotate. Lì si riunivano i campioni del quartiere: Vincenzo detto Pepè, Gaetano o’ Palleggiante, Peppe la Crimagliera e Salvatore detto chierichella. Questi quattro ragazzi facevano paura, erano fortissimi e avevano un  modo di giocare a pallone (ognuno con un suo stile particolare), inimitabile e senza precedenti. Per un quartiere povero come il nostro, e per le famiglie povere di questi quattro ragazzi, non c’era differenza se essi giocavano per strada o in una squadra da professionisti.

Pepè era il fuoriclasse del rione. Era veloce, scattava in continuazione e, quando schiacciava il pallone di testa, non sapevi mai la traiettoria che prendeva. Aveva una particolarità indistinguibile: di testa schiacciava a sinistra e la palla andava a destra della rete e viceversa, segnando quasi sempre. Non riuscivi mai a vedere il pallone, i suoi piedi, cosi come tutto il suo copro, erano un continuum perfetto con la palla. Giocava con il pallone prendendo in giro i suoi avversari, anche se alla fine li abbracciava tutti con simpatia.

O’ palleggiante, come si può capire dal soprannome, toccava il pallone alla Zola, palleggiava con la palla per quasi tutto il campo, non era velocissimo, ma aveva una cognizione del gioco perfetta, ruotava su se stesso nascondendo la palla e facendo impazzire me e gli altri avversari. Era piccolo, di statura tarchiata, ma perfetta per quell’andatura e quei movimenti sincronici. Aveva un voce atona cosicché, quando chiamava il pallone, nascondendosi dietro gli avversari, sbucava come una saetta senza  essere mai intercettato. Un fantasma che plasmava la sua superiorità segnando in continuazione.

La Crimagliera, che aveva uno stile alla Lothar Matthäus, era dotato di un tiro potentissimo, fermo sulle gambe come una roccia, dribblava gli avversari come se fossero manichini e aveva una visione del gioco eccellente ed una posizione in campo perfetta. Quando tirava abbassava leggermente la testa, la gamba sinistra “roteava” a 45/50 gradi, riusciva a schiacciare il pallone colpendolo nel punto deve questo diventava più veloce, più potente. Era impressionante l’effetto e lo stile di quella schiacciata micidiale. Era lui il capitano della sua squadra, urlava come impazzito, faceva da allenatore e da massaggiatore, e quando i suoi compagni non l’ascoltavano, la sua squadra pareggiava sempre.

Ed infine chierichella, il più povero dei quattro. Ultimo figlio di una lunga serie di fratelli dispersi per Napoli, Salvatore non giocava a pallone, ma ballava e ti faceva ballare. Aveva lo stile di Michel François Platini, ma non glielo dovevi dire, altrimenti impazziva: era un grandissimo tifoso del Napoli di Maradona. Chierichella tirava sempre o quasi in basso negli angolini più remoti della porta, qualunque portiere gli si parava davanti era spacciato. Impossibile intercettare un suo tiro o un suo rigore. Era anche un ottimo portiere. In una sfida fatta nella “rotonda” del bosco di Capodimonte, una domenica mattina, infortunatosi il portiere della sua squadra, chierichella, sostituendolo, riuscì a parare ben 3 rigori con uno stile integro, pieno, maturo.

Questi quattro fenomeni avevano tutti il percorso di vita segnato dalle indigenze. Vincenzo non aveva mai conosciuto suo padre, mentre Gaetano e Peppe erano cresciuti in un semiconvitto. Il più sfortunato era Salvatore perché orfano di entrambi i genitori. Quest’ultimo non era mai andato a scuola, mentre la Crimagliera e Palleggiante avevano conseguito il diploma di quinta elementare. Il più istruito era Pepè perché aveva frequentato la seconda media ma poi aveva lasciato, (l’avevano sospeso a vita), perché un giorno aveva distrutto un’ intera ala della sua scuola incendiandola.

Il fuoriclasse Pepè, il più dotato secondo il mio parere, morì a soli 25 anni, distrutto dall’alcol e da una vita dissennata. Lui che aveva fatto provini con diverse squadre di serie A, lui che era stato scelto per giocare con la Fiorentina e anche con un’ altra squadra del massimo campionato, decise di abbracciare il suo destino;  mentre La Crimagliera, pur sposandosi giovanissimo, con una bellissima ragazza, non lasciò mai la sua “passione”, unica sua fonte di eternità che lo privò di ogni suo talento: prendeva eroina per sport e per divertimento. Del Palleggiante non ho mai saputo più niente, mentre io e Salvatore ci incontrammo per caso, fu lui a riconoscermi: ‘O Ninò, so chierichella… Gli chiesi cosa faceva adesso, con i suoi occhi, che mi penetrarono dentro, abbassò la testa; feci la stessa cosa, provando un’ immensa vergogna per me stesso. [+blogger].

2 commenti Aggiungi il tuo

  1. Leandra ha detto:

    Antonio, grazie per questo squarcio, la triste verità è che nonostante l’illusione secondo la quale la nostra società premia i meritevoli, il successo e la consapevolezza delle nostre capacità dipendono raramente dalle nostre qualità. Questo racconto è un ulteriore prova che questo sistema si basa su un grande spreco di risorse, tristemente.

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    1. Antonio Caiafa ha detto:

      Sono tante le storie di vita raccontate e da raccontare ancora. Anzi poco è stato fatto. Scrivere di un mondo al limite dell’esistenza e della considerazione “è da perdenti”. La nostra sfera quotidiana è influenzata dai “perdenti” e dagli “inutili”… e da quelli che “intendono smettere di fumarsi l’ultima sigaretta”. L’influenza dell’evitare, di non vedere, di far finta di essere lontano, oltre … e di far sparire la logica che l’altro esista, fuori e dentro di noi … di un altro umano. Grazie a te Leandra.

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