Serata velata questa nel quartiere. Appena finito di lavorare e mentre ritorno a casa nella mia consuetudine di attraversare le stradine più strette, incontro un uomo che non ho mai visto, accenna un saluto e sparisce dietro un auto di colore verde pistacchio. Provo ad immaginare chi è, ma non riesco a ricordare nessuno che possa somigliargli. Sono le venti circa e apro al porta di ferro del mio appartamento. Vivo da circa dieci anni in una stanza di 15 metri quadri, con una cucina in muratura, un armadio in muratura e un bagno ricavato nel mezzo, che ha uno spiraglio d’aria largo circa 15cm. La puzza di umidità è appena velata dall’odore di carne fritta che sta arrostendo un mio vicino. In compenso ho una finestra (o balcone) abbastanza piccola da potermi rinfrescare d’estate e rimanere caldo d’inverno. Per arrivare a casa devo salire 7 scalini, in cima la mia veduta, pochi passi e gli infissi color ruggine spalancano la vista su quello che io definisco il vicolo più bello del rione Sanità: vico Sanfelice o vico San Felice, fa lo stesso.
D’inverno ascolto la pioggia che impasta le ruote dei motorini e delle auto che passano con molta indiscrezione. D’inverno aspetto. D’estate, invece, è tutto un brulichio di sensazioni e di scoperte; il chiacchiericcio mi fa sognare, mi culla, mi addormenta. Sotto casa, a qualche metro di distanza Patrizia, una mia buona vicina, racconta la sua giornata o quello che le è malcapitato a lavoro. Racconta a chiunque. Mentre inizio a magiare le voci del vicolo sfumano, ho poca fame, poi quel “formicolio” ritorna ancora fino a notte fonda. E’ arricchimento sonoro per i miei acufeni.
Mi addormento e sogno di bere. Ma proprio quando sprofondo nel sonno uno sciame di catrame entra nella mia bocca, respiro in un turbino di visioni che mi affannano e mi soffocano. Cerco Patrizia, ma l’apnea è cominciata da qualche istante. L’acqua mi trascina sempre più giù, inutile resistere ai contrasti che esplodono nel mio cervello. Mi riempie il naso, le orecchie, la gola, e come sempre succede nei sogni, voglio urlare ma non ci riesco. Il risveglio è amplificato dall’allarme del mio proprietario di casa, che si è fatto istallare un antifurto a prova di ladro e di timpani. Sputo il resto dell’acqua che ho rigurgitato nel sonno, entro in bagno, non ho il desiderio di fare nulla, ma sono eccitato e non capisco il perché. L’orologio indica le ore Sette. Appena sveglio, il rumore della pentola a pressione delle mie orecchie è sempre più acuto. Preparo il caffè, sono sempre allegro il sabato mattina, ho circa quarantottore di ozio e di strafottenza acuta prima che arrivi il lunedì, giorno più triste della settimana. Il sole entra di traverso nella mia stanza e illumina tutto, soprattutto il mio piccolo fornetto elettrico stracolmo di libri e di appunti universitari. Una voce di donna mi chiama, riconosco il tono, è Maria Rosaria. Mi dice se quando scendo posso passare un attimo da lei. Mi vesto in fretta e scendo giù a vedere cosa vuole.
In un basso a due livelli, circa 20 metri quadri in tutto, abita Maria Rosaria. Sposata con una bambina, e un marito che è sempre stato inoccupato, passa le sue giornate a ridere e scherzare con alcune sue amiche e parenti. La sua abitazione distorce, per bruttezza e “deformità”, contro la sua giovinezza ed intelligenza. Ha un sorriso accattivante, è quella che si dice una donna seducente incline ai ruoli e alle differenza. Il Marito, Franco, l’ho visto poche volte avvertendo la sua presenza grazie alle urla mostruose che emette quando è ubriaco. Anche lui è un bel ragazzo, un ragazzone di altri tempi, figlio di un rione ghettizzato. Mi hanno spesso incuriosito alcune scene che vedo e, ancor meglio ascolto, all’interno del mio bugigattolo. Vico Sanfelice largo circa 7/8metri e lungo almeno 30, è l’unica arteria del rione Sanità che sbuca perpendicolarmente in tre vie: via Sanità, via s.m. Antesaecula e via Cristallini. La mia casa è nella parte confinante via Sanità. Chi vi abita dice che questa pezzo di strada è sicuramente più bella dell’altro, un luogo pulito e divertente, contro il suo opposto, anonimo e sporco.
Nelle diverse ore della giornata, spesso mi capita di sentire i miei vicini litigare, alzare notevolmente la voce, fino all’intervento di persone e conoscenti per metter pace. Franco inveisce contro la moglie, bestemmia, si dimena, minaccia. Maria Rosaria in silenzio con piccole frasi si difende urtando ancora di più la suscettibilità del marito. Sopra, al piano ammezzato, succede quasi la stessa cosa ma in ore differenti. Vi abitata Pinotto con la sua famiglia. Sono abbastanza divertito perché ogni volta che Franco urla Pinotto scende per calmare l’amico e si divulgava in pacifici consigli. La stessa identica cosa fa Franco quando Pinotto litiga con la moglie. Sono le stesse identiche parola, dette in modi diversi e con diverse sfumature. Sia Maria Rosaria che Antonella, quest’ultima moglie di Pinotto, pur con modi differenti, gestiscono e le loro relazioni con estrema dignità, entrambe povere, entrambe dame di compagnia, mamma, amanti, casalinghe.
Una notte mi svegliano le urla bestiali di Franco, non sono le solite urla, non litiga con la moglie. Sta rompendo i fare e i finestrini di un auto parcheggiata vicino alla sua abitazione. E in parte ha ragione. L’auto è parcheggiata in modo che non si può ne entrare né uscire dal suo basso. Dopo poco arrivarono due pattuglie della polizia, in seguito non ho più rivisto Franco. Maria Rosaria mi ha chiamato perché, mi dice, adesso può solo scrivere al marito, ma non sa come fare, non riesce a trovare le parole. Vuole qualcuno che ha la capacità di comunicare tutto l’amore che prova per quella solitudine; quando tenta di scrivere, le sue parole sono banali; vuole che io gli scriva una lettera bella, con parole difficili. Mi spiega cosa sta provando, mi dice: “scrivi che gli voglio bene, ma scriviglielo più bello, che la bimba non vede l’ora di riabbracciarlo, scrivigli che lo amo, ma usa parole belle, parole difficili. Le dico: “Ma già queste cose che hai detto sono belle?!”. Ma la cosa in realtà mi piace. Risalgo su e inizio a scrivere: Ciao Franco, ti amo, non ho mai smesso di amarti fin dal giorno che ti ho visto e mi sono innamorato di te. Penso intensamente al momento in cui sarai di nuovo qui con noi. La piccola ha voglia di chiamarti papà. Ti abbraccio tutte le notti, dormo con la tua foto, ti bacio con i baci della sua bocca[1]. Ogni sera a tavola con la bimba parlo di te. Non riesco a dire una parola senza nominarti. Quando ti rivedrò mi illuminerò d’immenso[2], e quella per noi sarà una nuova vita, una vita dolce, fatta di passione e di grande amore. Perché quest’amore possa far crescere nostra figlia nel rispetto per la vita. Tua Maria Rosaria.
Quando l’ho rivista mi ha detto che Franco non ha pronunciato parola, che gli brillavano gli occhi e le sole cose che quel giorno le ha confidate sono: ”ma le hai realmente scritte tu ste cose?”. Con un sorriso mi dice se posso scriverne un’altra. Il racconto è approssimato, ma desso so cosa scrivere. Franco, oggi ci sei mancato particolarmente, la piccola ha avuto la febbre ma per fortuna niente di grave. Ti amo come si amano gli animali, senza vergogna, senza, peccato, senza pudore. La bambina parla sempre di te e io le spiego che hai un lavoro che ti fa stare lontano da casa ma che presto tornerai. La tua M.Rosaria.
Sono passate settimane e questo tipo di corrispondenza tra noi è diventata una routine. Maria Rosaria parla con me quasi ogni giorno, mi racconta le sue paure, mi racconta la libertà di non sentire più gli urli del marito quant’è ubriaco, mi racconta il suo disagio a stare sola, così come le parole e le frasi che poi io devo trascrivere in una forma bella. Ciao Franco, oggi è arrivata la bolletta della corrente, un sacco di soldi. Proprio non capsico come è possibile visto che viviamo in un basso con poche luci accese. Domani incontro una mia amica, vado a lavorare per qualche ora a casa sua. Non preoccuparti, mi porto anche la piccola, e sto attenta che non si faccia male. Domani posso venire e finalmente ci vediamo di nuovo, vorrei andare da parrucchiere, ma non so se posso spendere altri soldi. Tua M. Rosaria.
Maria Rosaria, mi racconta che le spese, da sola, sono insostenibili. Non riesce a dire al marito come veramente stanno le cosa, ha paura che lui possa restarci male. Mi ha anche detto che in carcere ha fatto un periodo di psicoterapia ed ha smesso di bere. Non vuole sconfortarlo con brutte notizie. Una sera la vedo mentre ritorno a casa, ha il volto triste, mi chiama poi ci ripensa, le lacrimano gli occhi. Alla fine mi guarda, la tristezza la rende ancora più bella. Mi confessa: “sono incinta”. Non riesco a dirle niente, non ho la forza di parlare. Ma lei continua: “Questi mesi sono stati infernali, non ho mai pagato l’affitto, il salumiere, il macellaio. Mi vergogno come una matta. Ma ho scontato tutti i miei debiti, e la bambina continua ad andare a scuola”. Maria Rosaria non ha mai smesso di amare Franco. Adesso porta un nuovo essere in grembo, mi dice di non trascriverlo, lei ama con i baci della sua bocca, ma è distrutta perché al marito gli sono stati contestati altri reati. Non so quanti anni di carcere ha scontato Franco, ma dopo un anno Maria Rosaria ha cambiato abitazione, lasciando vico Sanfelice per sempre. La rivedevo ogni tanto, non mi saluta volentieri, solo quando ci incontriamo e gli occhi cadono sul viso dell’altro lei sorride. Franco ora è libero, me lo ha raccontata Antonella. Mi ha anche raccontato che ha chiesto il divorzio. [+blogger]