gli amici studiati

Villico, era una parola incredibile, pur non conoscendo il significato, dovevo fare mio quel termine. L’avevo scoperta negli anni Novanta e a dirmela fu la mia amica Cecilia. Conoscevo solo le parolacce in napoletano, e parlavo male l’italiano, storcendo tutte le finali. Cecilia era iscritta al primo anno di Università, mentre io avevo lasciato gli studi a undici anni. Cecilia rideva sempre e a me piaceva perché non mi faceva sentire “inferiore”. Succhiai la sua intelligenza. Così iniziai a frequentarla. Era una delle mie amiche studiate. Gli altri erano uomini: Stefano e Ciro. Frequentavano la quinta B all’Istituto Diaz del centro storico.

Ho conosciuto tutta la classe a una festa. Entrare in quel nuovo mondo era stato straordinario. Li consideravo “diversi” da me. Mi piacevano perché si esprimevano bene, non urlavano, e spesso pronunciavano parole difficili. Così quando un giorno dissi a Stefano che dovevo andare a fare nu servizie, mi disse che potevo dirlo anche in un altro modo. Ci pensai molto tempo: “vado a fare un servizio?”. Mi disse che potevo imparare altri termini, come “vado a svolgere una commissione”. Una frase bellissima! Quando dissi a mio padre che andavo a svolgere una commissione mi guardò con aria sospetta, come a dire: “ma che cazze staie dicenne?!”.

A quella festa conobbi due ragazze di nome Imma. Un ragazzone bruttino, ma molto simpatico. Un altro più brutto ancora, ma che tutti rispettavano per i suoi voti a scuola. Poi c’era uno che se la tirava. E infine Carmine. Comparve all’improvviso con il sorriso smagliante, la sua camicia bianca, che spiccava nella penombra delle luci soffuse, e un papillon di colore funesto. Ero in disparte. Quei ragazzi studiati ballavano in modo strano, non erano ragazzi di discoteca. Carmine, che fece urlare tutti appena mise piede nella sala, si girava e rigirava su se stesso, a ritmo sfrenato. Mi sembrava un seguace di san Vito. Alla fine mi resi conto che tutti avevano sicuramente visto la sigla finale di Daltanius.

Con loro ho imparato a studiare, ma non nel senso che si può intendere. Ciro era di gran lunga il più divertente. Imitava alla perfezione Lino Banfi. Mentre Stefano era il più intelligente. Quando mi spiegava il significato delle canzoni in inglese, mi faceva sognare ad occhi aperti. Era il periodo dell’esame di maturità e qualche vota io rimanevo con loro a studiare, o meglio, ascoltavo le loro spiegazioni.

Decisi di fare un esame di sostegno. Stefano era il mio professore di partita doppia e matematica, mentre Carmine scelse la Biologia e Ciro il francese o l’inglese, non ricordo bene. Quando iniziai a comprendere i teoremi, chiesi a Stefano come mai quelle formule venivano spiegate in quel modo. Mi disse che dovevo stare zitto e non aggiungere altro al significato. Io protestavo. Ma se il numero periodico non finisce mai, come si fa a leggerlo? Lui mi disse. “Antonio tra poco sarò ragioniere non Einstein”; infatti al diploma lo fregarono perché gli misero 59/60esimi. In seguito cercai di comprendere la digestione con Carmine. Preparai bene il mio discorso e aspettavo con ansia le sue spiegazioni. Dopo 5 minuti dormiva come un ghiro, mentre mangiava i biscotti che gli compravo per disobbligarmi. Quando si svegliava, mezzo stonato, parlava da solo di bolo alimentare. Ciro invece il dialetto l’aveva nella mente. Quando cercava di parlare le alte lingue usava un idioma simile al nolano antico. Poi mi faceva le imitazioni dei comici e la serata passava senza avere concluso nulla. Cecilia invece mi coccolava sempre. Ero innamorato di lei senza saperlo. Mi invitò ad una festa a casa sua. Mi regalò un libro, il mio primo libro, che lessi senza capire nulla.

Fu così che decisi di prendere ‘nu sillabario, Nin8 mio fai tu, e me mettette a correre cu A, E, I, O, U*. [+blogger]

*Raffaele Viviani – Guaglione

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