aborto

Qualche anno fa ho perso una figlia perché aveva la sindrome di Edwards. Quando io e mia moglie ci presentammo per il consulto psicologico di routine, il medico, dopo avere letto le carte, ci disse: “qui neanche il Papa può opporsi all’aborto”. Pensai subito: “menomale che questi medici non sono obiettori di coscienza”. A ripensarci bene, ma cosa significa essere obiettori di coscienza?

Quand’ero bambino ricordo che ci fu scalpore tra le famiglie del mio condominio perché una donna del quartiere aveva portato ad abortire sua figlia di 12 anni. C’era chi criticava la scelta come aberrante e chi, invece, cercava di capire quell’atto. Era pericoloso abortire. Una mamma metteva sotto i ferri una bambina. Ammazzava una vita mettendo in pericolo un’altra. Che coraggio, che ingiustizia. Ma per qualcuno l’aborto era sicuro e non c’era più possibilità di sbagliare. Restava il fatto che l’estremo atto “veniva perpetrato alla luce del sole. E il dilemma ancora in corso, uccidere o non uccidere”, era pressoché irrisolto. Anche la parola uccidere, in questo caso, aveva bisogno di una spiegazione. Ce la diede, indirettamente, qualche mese dopo, la protagonista di questa vicenda. La figlia della colpa e del tanto accanimento, l’adolescente in cerca di nuove emozioni, quella che non aveva saputo tenere a bada i freni inibitori, quella che aveva ucciso grazie anche a sua madre, si era confidata con un’altra sua amica. Impassibile, senza muovere un dito né mostrare emozioni o qualche tipo di espressione facciale, le aveva sibilato nell’orecchio: “sono stata violentata”. Ma neanche questa spiegazione poteva salvare dalle critiche la giovane donna. Un mare di protesta, sul perché non aveva denunciato l’aggressore, si scatenarono subito dopo quella dichiarazione. Continuava il fermento della fiction, così come si vedevano in televisione. Una farsa. Sì, c’era chi rideva, chi aveva voglia solo di speculare per puro divertimento, chi si dimenava per capire meglio, chi faceva esempi sulle proprie figlie e su altre storie simili. Mettiamoci noi nei loro panni. Sentenza senza tempo. Giudizio pronto a risolvere quel problema. Il problema dov’era?

La ragazza che aveva avuto quella soffiata, in un secondo momento, ebbe anche il coraggio di dire altro. Non lo disse subito perché aveva paura. Una volta rassicurata che tutti l’avrebbero protetta, strascicò la parola padre. In un primo momento nessuno aveva capito. La ragazza volle ripetere con attenzione “E’ stato il padre a violentarla”. Questa volta non c’erano dubbi, tutti avevano capito e alcune donne erano impallidite. Che schifo, che vergogna, a questo siamo arrivati?! Che oltraggio, povera creatura. Molte però continuavano a dire che di fronte ad una vita umana nessuno aveva il diritto di sentenziare e uccidere. Una donna in particolare, era una catechista della basilica di san Severo, si opponeva con sdegno, senza riconoscere attenuati, senza riconoscere alternative, inamovibile contro l’aborto.

Un uomo disoccupato, che aveva assistito a tutte le vivaci discussioni, incominciò a fare alcuni segni e a ripetere cose un po’ sconnesse. Cercava di dire soprattutto alla catechista e poi anche a se stesso, che senso aveva in quella discussione la famiglia. Altra confusione generale. L’uomo che aveva violentato la figlia minorenne era un porco e doveva essere arrestato. Questo era una cosa certa per tutti. Ma se fosse nato o nata un bambino o una bambina da quell’unione era un bel problema per la famiglia. Essa si basava soprattutto sui ruoli e su caratteristiche intrinseche. Se invece non si fosse proceduto all’aborto, il padre di quella neonata sarebbe stato anche suo nonno, e la legittima madre, anche sua sorella. La mamma della ragazza violentata sarebbe stata la nonna cornuta; Gli altri suoi figli, i fratelli della povera tredicenne, per la precisione, un maschietto e un’altra femminuccia più piccola, sarebbero stati i fratellastri e gli zii contemporaneamente. I cugini del lattante erano anche i suoi zii, gli zii i cugini, i nipoti i pronipoti ecc. ecc.

Nessuno capiva più nulla. C’era bisogno di una spiegazione razionale. Ma nessuno la seppe dare. L’uomo continuava nelle sue elucubrazioni. La catechista faceva di conto. Le altre donne a favore si sbilanciarono in spiegazioni ancora più complesse. Quelle che avevano eccessivamente criticato la ragazzina e la mamma, cercavano nuove domande. Alla fine, qualcuno disse: “ci pensa Dio”. C’era anche molta tristezza, qualche schiamazzo e qualche risata sardonica. Insomma una confusione enorme che nessuno alla fine si aspettava. La stessa, identica, uguale, e  precisa confusione che in pochissimi minuti quella madre e quella figlia dovettero prendere prima di sentenziare le loro decisioni e il loro dolore. [+blogger]

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