Alla via Fontanelle, sul muro perimetrale dell’ex ospedale san Camillo, c’è affissa una gigantografia di un cammello putrefatto (o quello che resta, spero di non sbagliarmi ad affermare che sia un cammello), in un qualsiasi deserto del mondo (spero di non sbagliare a dire “deserto del mondo”). Cerco di trovare una relazione con le mie conoscenze del luogo. Ma l’arte si sa è anche introspezione, soltanto che quando essa diventa pubblica, la mia analisi allora può essere anche la più disparata. Sulla via Sanità e zone limitrofe, chiusa in circa 100/200 metri di spazio, 10 murali giganti sono stati realizzati negli ultimi 5 anni, neanche la Boca ha saputo fare meglio. Anzi, in verità, sono di più, visto che altre piccole opere sono visibili sui muri man mano che si attraversa via Sanità, fino ad arrivare all’inizio della via Fontanelle. Il murale è una moda e, si fa per dire, la moda arricchisce solo i modelli. Ma parliamo dell’utilità sociale. In questo periodo, almeno nel nostro rione, il murale è associato ai like di una bacheca sponsorizzata. Non importa il messaggio che veicola, se è populista o d’effetto, esso è buono perché fa numero, come il mercato delle armi (perdonerete il paragone). Ma l’effetto immaginifico che adesso il quartiere fa, rispetto al passato, è veramente disarmante. Dalla metà degli anni Quaranta in poi nulla è cambiato: sempre lo stesso basalto, gli stessi palazzi, le stesse vie, gli stessi vicoli indecenti. A vederlo viene una noia mortale. Dal 2005 in poi (o prima o dopo non è importante), la struttura visiva della Sanità cambia in parte la sua vecchia autonomia. Qualcuno può insinuare che si tratta di normale cambiamento d’epoca. Ma sappiamo che i cambiamenti sono molto più lenti, in poco più di 10 anni non si cancellano 4 secoli di storia. Eppure è quello che sta succedendo nel rione Sanità. Questa rivoluzione, a parer mio, è sbocciata tardi, è fuori luogo e fuori tempo. Mescoliamo il turismo sfrenato all’arte pubblica, senza immaginare che, in altri luoghi, i murali sono stati confinati come forma circoscritta. Infatti gli amanti della street art o gli stessi street artist, hanno un’area dove poter sfogare la loro “rabbia” e dipingere ogni cosa, un’area diciamo così, museale. Adesso capisco l’ambizione di far diventare un museo il quartiere, ma la relazione tra l’arte e, in questo caso, la sua gente, non ha nesso né compromessi. Ancora una volta siamo fuori tempo massimo, la nostra speranza nella rinascita sì, ma poi quale e perché?
Parliamo dell’ultima opera muraria che ritrae Totò, esso che relazione ha con il rione? Antonio de Curtis non è mai stato amico di qualcuno, non è mai vissuto nel quartiere, non ha mai avuto nessun rapporto con esso, è andato via giovanissimo, per poi ritornare dopo 60 anni solo per pochi istanti. Tempo fa, un vecchietto molto simpatico, di salita Sanità, mi ha confessato che molte persone del luogo lo prendevano in giro; quelle rare volte che vedevano passare il comico lo sfottevano chiamandolo fofò. Da pochi anni il rione ha incominciato ad identificarsi con il principe, ma prima nessuno ha mai rivendicato i suoi natali; persino la figlia Liliana ha “venduto” al miglior offerente la casa della via S. M. Antersaecula, dove Totò è nato. Per non parlare dei riconoscimenti: indicatemi una sola città del mondo che, progetto definito e ultimato, impiega più di venti anni, senza riuscirci, per aprire un museo alla memoria. Andiamo oltre. Totò ha lottato per far riconoscere, a ragione, la sua paternità; lui è principe e vuole che sia messo nero su bianco. Nel quartiere, a quell’epoca, c’erano solo operai, artigiani, medicanti, piccoli negozianti. Nulla che può relazionale i natali di un genio della comicità con gli abitanti luogo. Una differenza marcata che si produce, subito dopo l’adolescenza, nel cambio della città. Oggi la figura Totò è sinonimo di economia, di sfruttamento, come normale che sia. Ma esso non ha nessun rapporto di continuità né di correlazione con il rione Sanità. Neanche i funerali sono stati fatti nel quartiere. Solo per capriccio di un noto signore che la farsa del terzo feretro rientra nell’immaginario di un popolo che si veste a lutto. Totò, per sua sfortuna o fortuna, è solo nato nel rione. [+blogger]
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