Francesco Mastriani a metà dell’Ottocento scrive un libro dal titolo. “Il mio cadavere”. Racconta della nobiltà napoletana e, per contro, della povertà del popolo. Un distico che ricorre in quasi tutti i suoi libri. La nobiltà è cieca, è “altra”, è qualcosa che ha voluto l’iddio. L’estrema indigenza è indifferenza, è assoluta disgrazia divina. L’uomo nobile guarda dall’alto, sentenzia, osserva e al massimo fa beneficenza. Il povero, “il muratore della Sanità” (altro libro), o un altro pezzente senza “qualità”, è condannato all’inferno terrestre. Nella parte discorsiva, dove spesso il signore parla con il servo, quest’ultimo è sempre umile, impaurito, si rivolge con estrema educazione e riverenza. La Narrazione è molto complessa, “ingarbugliata”, bellissima, divertente e con un lieto fine. Ma le supposizioni nobiltà/salvezza, per fortuna, sono solo elucubrazioni smarrite; la demenza, in realtà, è parte della ricchezza, così come la povertà della dolcezza.
Traslando il romanzo ai giorni nostri, quello che accade non è poi così dissimile, almeno nella percezione, rispetto a duecento anni fa. Oggi, la netta differenza tra la gente del quartiere e gli “estranei”, è uguale a quella del passato. Anzi con qualche sfumatura ancora più maligna. Camminando tra le vie e i vicoli del rione, qualche bravo e buono venditore si è impossessato legalmente del suolo pubblico; e quello che aveva dichiarato di essere un bene e un vantaggio gestirlo per la sicurezza collettiva, è invece diventato un camminamento privato, (si fa per dire…se non stai attento a sedie, tavolini, fiori e merce varia, rischi che ti spuntino le ali), con tanto di scontrino fiscale e di multa annessa se non consumi. Prima sul marciapiede c’erano solo gli scooter, pazienza. Perdonate il divagar perché mi è dolce in questo mare.
Ma il quartiere sta crescendo e con esso anche la percezione che i suoi abitanti stanno cambiando. Ritorno di nuovo al buon Mastriani. Il nobile, il borghese, il ricco o il benestante. Quando quelle poche volte ho mangiato in una cantinola, il primo piatto è sempre stato abbondante e a un prezzo accessibile. Oggi la pasta è gourmet e costa molto. Non ci vado più. Seduta ai tavolini c’è gente che non è del rione. E anche questo è un bene. Ma molti di quelli che sono seduti sembrano differenti, hanno qualcosa che non hanno quelli della Sanità. Insomma si capisce che sono forestieri. Sono del Vomero, di san Pasquale a Chiaia o di altre città del mondo. Mi preme la stessa citazione scritta ne “Il muratore della Sanità”: “Quelli che non conoscono la miseria non si possono formare un concetto delle strane ed essenziali modificazioni che genera nei miserabili la vista dell’oro.”
Si capisce che il turismo è anche questo. Crea differenze particolari. La trasformazione del quartiere ha imposto una forma di disgregazione della mente, che ha fatto diventare meglio il peggio. Mi spiego. La qualità della vita nel rione è scesa in modo vertiginoso, mentre è salita quella turistica. C’è una “guerra” in atto tra chi ha fiutato il momento propizio per investire, e chi non ha la forza di competere (a volte sono gli stessi abitanti del rione.) A dire il vero, per ora, la stragrande maggioranza degli investitori non sono della Sanità. Questa forma sociale, che per qualcuno è del tutto naturale, è stata già ben studiata. Come per l’autore di cui sopra, la ricchezza crea differenza e privazione sia materiale che psicologica (spirituale?). Nell’uomo è insita una forma di persuasione, come quella che produce la vista del denaro. Se per una rivoluzione il quartiere diventa ricco, la gente lo vede in modo differente. Anche un povero cristo si percepisce in modo differente nel momento in cui ha per le mani 150 monete d’oro. La miseria quando diventa ricchezza, anche se ricca non è, cambia la sua natura, non solo quella economica ma anche quella morale. Ma il discorso per fortuna non può essere generalizzato. Lo dice Mastriani, che Napoli la conosce come le sue tasche. Lo dice la gente del rione, che non scambia la melma per oro.
Eppure questo articolo non dice nulla di nuovo. E’ così vecchio da lasciare indifferente chiunque abbia un po’ di sale nella zucca, anche se è ancora tragicamente vero. [+blogger]