Una ragazza del quartiere ha pubblicato un post e ha scritto che è “schifata” dai prezzi degli affitti delle case. Ha espresso la necessità di controllare il flusso turistico perché è una delle cause dell’innalzamento dei prezzi. Niente di più vero. Ne sa qualcosa il buon Francesco Mastriani che nella sua vita ha subìto circa trenta sfratti. Dell’autore avrò modo di parlare dettagliatamente in un prossimo articolo. Quello che voglio raccontare oggi è esattamente il contrario. E non per sconfermare lo sfogo della persona citata poc’anzi, ma bensì per avallare minuziosamente la sua tesi.
Racconto un vero paradosso.
La mia famiglia ha abitato per circa 50 anni sempre nello stesso appartamento. Si fa per dire appartamento, una casa di circa 30 metri quadri all’interno di un palazzo. Con un piccolo balcone vicino all’ingresso e un piccolissimo finestrino al lato opposto dell’abitazione. Finestrino ricavato successivamente, non finanziato dal padrone di casa. Circa 10 anni fa, la figlia dei proprietari, che abita a via Caracciolo, si è presentata nel palazzo e con modi garbati ha iniziato ad instaurare un rapporto con i suoi inquilini. I suoi genitori, nobili per grazia di dio, si facevano assistere da un’ avvocatessa di via Mezzocannone. (Non avevano mai voluto mettere piede a via santa Maria Antesaecula). In cambio di lavori dovuti per le condizioni fatiscenti dello stabile, la brava proprietaria ha contrattato, di persona, i metodi di pagamento, i nuovi contratti, le scadenze, i nuovi inquilini e gli affitti arretrati. Faccio un passo indietro.
L’avvocatessa che ha curato gli interessi dei nobili proprietari, alla scadenza del contratto, (siamo agli inizi degli anni ’70) convocava i miei genitori per stipulare, se necessario, un altro contratto. Capirete perché dico “se necessario”. La stipula del nuovo documento avviene sempre, perché i miei non potevano, in nessun modo, trasferirsi in un’altra abitazione. Capirete anche il perché di quest’ultima affermazione. La brava donna di Mezzocannone, che riceve sempre la mia famiglia nel suo studio, dove gli stucchi e i marmi strisciavano in bella posa nell’eleganza e nell’opulenza, chiede sempre per il suo intervento, 100.000 delle vecchie lire (una bella somma). Senza lasciare ricevuta né prova dell’avvenuta transazione. Colpa anche dell’ignoranza di mamma e papà. Ma se l’ignoranza è una colpa (discuteremo a lungo su questa accusa), la viltà e l’avarizia, nonché la disonestà, sono sintomi della cattiveria umana, presunta e cieca nella fattispecie. La brava avvocatessa intascava minacciando lo sfratto. Sempre per colpa dell’ignoranza dei miei genitori, ha la meglio e sfrutta la situazione a suo vantaggio, per molti anni. Un giorno mio padre, in evidente difficoltà economica, che per un operaio non è poi così desueta, decide di non pagare la quota per il disturbo che la mano di Cicerone pone nello scrivere (copiare e incollare) l’ennesimo contratto. Così inizia, negli anni Ottanta, lo sfratto di casa. Per un decennio continue minacce. Centinaia di lettere di fine locazione. Prima sentenza, seconda sentenza, terza sentenza, pignoramenti, accuse, intimidazioni. Tutto messo nero su bianco.
Andando a scovare nel calderone dove i contratti sono depositati, si scopre che neanche uno è stato registrato. Praticamente siamo stati per decenni in una casa a nero. Prima la brava avvocatessa, e poi un altro avvocato subentrato per la morte inaspettata dell’ormai vecchia strozzina, catapultano la nostra famiglia in una realtà immaginifica. E’ ora di svelare i quesiti di cui sopra.
Ritorno all’inizio dell’ articolo e alla nuova proprietaria, la figlia legittima, che ben ha capito come proteggere i suoi affari. Un giorno si presenta a casa con il suo nuovo amministratore, palesando la carta dello sfratto. Nel frattempo arriva un’ ufficiale giudiziario di Nola che accerta la situazione di sfratto imminente. Ma si rende conto subito della situazione. Guarda la casa, e soprattutto guarda la sedia a rotelle di mia mamma. Le spiego tutto e mi dice: “io in questa casa non vengo più”.
La povera nuova proprietaria non conosce la decisione del giudice. La signora timorata da dio vuole triplicare l’affitto e dice di non sapere nulla delle precedenti truffe. Questa volta siamo noi a “ricattarla”. Abbiamo centinaia di ricevute timbrate che affermano pagamenti a nero. Così passano pochi giorni e il contratto si rinnova con le medesime condizioni, questa volta con un’ opzione maggiore (non solo quattro anni, ma otto per la precisione). Ma non è finita.
Siamo ai giorni nostri. E gli otto anni sono passati. E’ morto prima mio padre e poi mia madre. A casa è rimasto solo mio nipote che è cresciuto con i nonni. Si ripresenta la proprietaria e continua la sua pretesa di quadruplicare l’affitto. C’è un altro colpo di scena. Visto che è lei ad amministrare tutto e ad occuparsi dei contratti, non si è accorta che doveva inviare raccomandata sei mesi prima, con ricevuta di ritorno, per la fine della locazione. Questa volta la legge parla chiaro. Il contratto si è rinnovato tacitamente e alle stesse condizioni. L’abbiamo fatta franca per almeno altri otto anni. Spero in un’altra prossima ignorante mossa. [+blogger]
*”Il Tetto” è il titolo di un film del 1956 diretto da Vittorio de Sica.