Che cosa succede più avanti, quando la gestione della precarietà diventa normalità? Leggo un articolo molto interessante in cui l’autore parte proprio dal concetto di precarietà, e precarietà storica, e la rapporta a questo singolare periodo*. Ogni singola azione economia, giustificata e legittimata, nasce e si sviluppa pur contro ogni moralità (vedi l’accaparramento delle armi, le attuali 36 o più guerre che ci sono in tutto il mondo ecc.); lo sfruttamento delle risolse della terra, così come il 90% della ricchezza mondiale in mano solo al 10% degli uomini. Fintantoché non ci tocca da vicino, fintantoché sono libero, se un bambino muore di fame ogni ora, mi dispiace sì, ma non ha nessun effetto sulla mia coscienza. Generalizzando, lontano è la paura, vicino è la mia indifferenza. In questo caso la paura è molto vicina a noi. Questo è sicuramente un fatto nuovo, quello che però non è nuovo è la mia vita che vacilla sul baratro, un baratro che esiste e che esisteva già, qualcosa che si celava dietro quella mia indifferenza e che adesso riesco a percepire in tutta la sua drammaticità. Cerasella, una mia amica sociologa mi ha detto: “come mai le borse mondiali non sono cadute ancora? E’ possibile che la sovrastruttura possa cambiare? E se sì, in che modo?
Questa non è una gestione della crisi, ma una gestione della precarietà che da decenni il nostro sistema controlla e gestisce attraverso le fasi che legittimano e delegittimano ogni azione. Oggi assistiamo inerti al collasso della gestione sanitaria, oggi ci facciamo prendere dal panico e insultiamo chi scende per strada senza mascherina. Quando protestavamo contro la chiusura dell’Ospedale san Gennaro, quando circa 150 mila abitanti rimanevano senza un pronto soccorso, quando un quartiere a rischio come il nostro rione, perdeva il suo ennesimo presidio di legalità, a protestare eravamo 40 persone. Non ci vedo nessuna differenza con questa crisi attuale. Soltanto che oggi percepiamo il collasso, percepiamo un rito di passaggio che non sappiamo definire, abbiamo giustamente paura e l’istinto di sopravvivenza trasporta la nostra società in un’altra dimensione.
Ricostruisco in parte le storie di vita che ho già scritto su questo blog. Giuseppe, che dopo 17 anni di carcere esce e non sa cosa fare e dove andare; Peppe che ha perso il lavoro dopo 30 anni e non gli è stato dato il tfr né la liquidazione; Patrizia a cui hanno asportato lo stomaco, riconosciuta inabile al lavoro, percepisce 250 euro al mese di pensione; Antonio che aveva una piccola azienda distrutta dagli usurai, si è poi tolto la vita; Vittoria e Mario hanno visto morire il proprio figlio di 17 anni trafitto da un proiettile vacante in una faida di camorra. Questa dimensione vacilla quando tocca la nostra esistenza, la mia esistenza. Ma da sola essa è troppo debole per sovvertire le cose. Ritorna la domanda della mia amica Cerasella, cosa succede dopo alla sovrastruttura? Una domanda che molti sociologi e politologi già si stanno facendo. Nel bene o nel male bisogna discuterne, approfondire e non lasciare che siano solo gli altri ad agire. Riporto testuali parole dell’articolo scritto il 10 Marzo da Roberto Nigro: Il coronavirus spaventa, perché esso ci ricorda la fragilità e precarietà della vita. È una precarietà esistenziale contro la quale non abbiamo mai smesso di elaborare tecniche di rassicuramento nelle forme più svariate. Ma vi è un regime politico della precarietà, che passa attraverso la costante produzione di forme di vita precarie, attraverso il governo della vita di milioni di individui. Non è possibile scindere la precarietà esistenziale dal regime politico della precarizzazione. Non è possibile credere che il coronavirus sia solo una questione medico-sanitaria, una questione di pura conoscenza, priva di alcun color politico.
Siamo di fronte ad un sistema che in parte ha fallito la sua grandiosità. Non basta recintare un terreno per essere il proprietario; non basta essere il più bravo per essere anche ricco; non basta solo il prestigio per essere anche famoso; non basta essere Gesù Cristo per essere il più potente. [+blogger]
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